Ai tempi della Serenissima il Carnevale era il momento più atteso dai Veneziani che festeggiavano organizzando spettacoli e "feste da ballo in campiello". I balli nella Corte del Fondaco dei Turchi davano il via alle feste danzanti di Carnevale, che proseguivano poi in molti altri luoghi della città...

Molte altre erano le feste, i giochi e i divertimenti a cui i veneziani partecipavano durante il Carnevale: la macchina dei fuochi con i suoi mirabolanti effetti pirotecnici, il ballo della Moresca, le forze d’Ercole, una sfida alla resistenza di due piramidi umane, in cui si affrontavano i Castellani (abitanti del sestiere di Castello, San Marco e Dorsoduro) contro i Nicolotti (sestieri di San Polo, Santa Croce e Cannaregio) e le spericolate e sanguinarie cacce dei tori, le corse delle “cariole”, lo “svolo del turco”, la festa delle Marie, le feste in costume che venivano organizzate, per la gioia dei patrizi, in tutti i più bei palazzi di Venezia, o il passeggio d'obbligo al "liston" sfoggiando le maschere più sontuose della città.

Ma la festa più gioiosa e sfrenata si svolgeva durante il giovedì grasso, l'ultimo giorno di Carnevale.
Centro della festa era Piazza S. Marco un vero baccanale come la chiamavano i testimoni del tempo.
Alcune di queste feste tradizionali si sono conservate fino ai giorni nostri.

 

La festa delle Marie

Questa festa di cui le cronache narrano per la prima volta nel 1039, durante il governo della Repubblica Serenissima, rievoca la liberazione delle giovani spose rapite, insieme ai loro gioielli, dai pirati istriani nel 948. In occasione di tale ricorrenza si procedeva al sorteggio di dodici tra le più belle ragazze di Venezia, che venivano ribattezzate “le Marie” e decorate con ricche vesti, gioielli e quant'altro necessario per renderle splendide.
Le Marie sfilavano con un corteo di barche tra le principali chiese di Venezia, assistendo alle varie funzioni religiose e ai rinfreschi con musica e danze allestiti dai veneziani per l’occasione.
Durante tale ricorrenza era tale l'eccitazione dei veneziani e dei tanti foresti accorsi per l'occasione che la Repubblica era costretta a prevedere straordinarie misure di sicurezza.
La festa - originariamente 3 giorni - ebbe a durare negli anni a seguire anche nove giorni e le ragazze vennero ridotte al numero di tre. 
Tra i vari cambiamenti che subì la festa uno fu decisamente buffo (e fatale): osservando che i veneziani erano molto più interessati alle ragazze piuttosto che alle funzioni religiose le bellezze vennero sostituite dalle loro immagini riprodotte sul legno (dette appunto le Marie de “tola”).
Caduta in disuso già nel 1379 verrà poi ripresa alcuni secoli dopo ma in forma molto ridotta.

 

Il Volo del Turco (o dell'Angelo)

Questa tradizione prese il nome dall'impresa di cui fu protagonista a metà del 1500 un giovane turco, acrobata di mestiere.
Da una barca solidamente ancorata nel molo, davanti alla Piazzetta, l'acrobata riuscì ad arrivare fino alla cella campanaria del Campanile di San Marco, camminando su di una corda soltanto con l'aiuto di un bilanciere.
Fu uno spettacolo talmente entusiasmante per il popolo veneziano che da quell'anno l'impresa, chiamata ormai "Svolo del Turco" (Volo del Turco), si rinnovò nei secoli, con l’aggiunta di innumerevoli varianti, sempre più d’effetto.
Di solito si svolgeva il Giovedì Grasso, con la Piazza San Marco gremita dalla folla incitante e alla presenza del Doge e della nobiltà.
Nelle versioni successive lo "Svolo" fu ripetuto sempre da acrobati professionisti, fino a quando alcuni popolani della categoria "Arsenalotti" (le maestranze dei cantieri dell'Arsenale) non vollero provare essi stessi, prendendo la cosa così a cuore da diventare, nei secoli, la categoria specializzata in tale impresa. Con gli anni lo "Svolo" cambiò forme ed usanze, diventando una cerimonia ufficiale che sostanzialmente si divideva in tre fasi, che il cosiddetto "Turco" (o "Angelo" per le ali finte che aveva addosso) doveva svolgere: salire sulla corda fino al campanile facendo spettacolo, scendere poi con piroette fino alla loggia del Palazzo Ducale dove il Doge, assieme a tutto il potere politico e agli ambasciatori stranieri, riceveva dalle sue mani un mazzo di fiori o delle carte con dei sonetti e infine risalire sul campanile.
Spesso in cambio del mazzo di fiori il Doge premiava il "Turco" con una somma di denaro.

 

La Cazza al Toro

La "cazza" (caccia) del toro si svolgeva il Giovedì grasso, quando veniva ucciso un toro, animale che il Patriarca di Aquileia, Ulrico, inviava, insieme a 12 pani e a 12 porci, come tributo annuale al Doge in seguito a una ribellione da lui ordita contro la Serenissima assieme a dodici feudatari friulani, per il controllo delle saline di Grado.
Il toro e i dodici maiali, allegoria del Patriarca e dei suoi accoliti, venivano accolti come prigionieri in Palazzo Ducale e venivano formalmente condannati a morte ogni anno dalla magistratura.
La sentenza veniva eseguita in piazza San Marco mediante sbranamento da cani e quando gli animali giacevano sfiniti, venivano macellati.
Tale onore era affidato alla Corporazione dei fabbri, assistiti da quella dei macellai (bechèri) che poi li distribuivano a tutto il popolo veneziano: dal nobile al condannato.
Da qui nasce il detto veneziano: "tagiar la testa al toro" (che significa togliere di mezzo gli ostacoli, finire in maniera definitiva un problema), poiché con il taglio netto della testa del toro veniva decretata la fine dello spettacolo.
Nel 1420 questa usanza fu abolita quando il Friuli passò sotto la dominazione di Venezia in quanto la festa si era trasformata in gioco senza malizia che durò fino alla fine della Repubblica e della sua origine storica rimase solo la partecipazione del doge.

Par che ognun di carnevale
a suo modo possa far,
par che adesso non sia male
anche pazzo diventar....

Così cantavano nell'agitazione generale le maschere che si radunavano in Piazza S. Marco durante le ultime ore di libertà prima che i lenti e cupi rintocchi delle campane di San Francesco della Vigna segnassero la fine del Carnevale e l'inizio della Quaresima
Un fantoccio gigante che rappresentava la maschera di Pantalone veniva posto tra le due colonne della Piazzetta per poi essere bruciato mentre tutto il popolo intonava la nenia funebre:

El va! El va! El va!
El carneval el va!

 

 

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